BELLE: CANTA COMPAGNA SUZU!
Belle il nuovo capolavoro di Mamoru Hosoda tra Disney e Satoshi Kon
L’AMORE AL TEMPO DEL TEATRO E IL SUO DOPPIO
Il tempo delle fiabe non finisce per niente quando ne finisce il terreno massimamente fertile, l’infanzia dove non esistono né bambini né uccelli, ma creature entrambe, nelle parole e nella filosofia di James Barrie, e che da quell’Uccellino bianco sia poi nato Peter Pan (Peter Pan ai giardini di Kensington) è esemplificativo di uno degli scrittori che all’alba del novecentesco Secolo dei fanciulli (Ellen Key) osò spingersi oltre ogni discorso pedagogico anticipando Lovercraft nell’applicare letterariamente il maggior suggerimento epistemologico dell’esperimento quantistico del gatto di Schrondiger, ossia di accettare un triplice negazionismo essenziale di Gorgia all’epoca del massimo trionfo della scienza post-galileiana, la cui figlia più ottocentesca, la psicologia (di cui la pedagogia è un distaccamento) stava muovendo i propri accenni di passo ancora antecedentemente a una matrice freudiana, ma di Weber e Brentano, con il bambino né piccolo uomo, né bestia, né neppure davvero soggetto a sé stante, ma un riassunto tale di natura e cultura da uscire e superare ogni definizione, ma dopotutto è la fiaba, la fabulae, la base della cultura umana. E’ pleonastico ordunque interrogarsi sull’attualità della fiaba: la fiaba avrà in eterno schemi vecchi di millenni e quindi immortali, non abbraccerà mai il presente e la sua inconsistenza (Quando pronuncio la parola futuro, la prima sillaba già va nel passato Wisława Szymborska), ma essa sarà sempre c’era una volta, tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, figuriamoci nell’epoca che ha visto scomparire Battiato, suo vate bastian contrario con Up patriots to arms da Patriots, Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso. Sono solo canzonette, ma il piagnucoloso Francesco Oggiano che dall’alto di Vanity Fair (Non ci siamo capiti E perché mai dovremmo pagare Anche gli extra a dei rincoglioniti? Inneres Auge Inneres Auge il tutto è più della somma delle sue parti) ha da lamentarsi che le funzioni di Propp non consentono principesse azzurre e lesbiche combacia inquietantemente troppo con la casta ghenga di barricadieri borghesoidi per le magnifiche sorti e progressive, e solo CasaPound sa cos’è davvero il femminismo e ne hanno parlato Nadia Vandelli, Matteo Fais e Carlomanno Adinolfi.
IL RITORNO DEL SENSEI DI TOYAMA
E parlando di canzonette Belle di Mamoru Hosoda (Ryū to Sobakasu no Hime cioè Il drago e la principessa lentigginosa) è forse una fiaba moderna dignitosamente avulsa da Miyazaki e antitetica di cuore e coraggio neokantiani alla Disney snaturata e rompicoglioni di Frozen. Uno dei suoi recenti film di ripensamento, Encanto, oltre a dover essere analizzato evitando insulse prolusioni sui capelli delle principesse Disney, critica abbondantemente il feminazismo emerso e imposto a partire dalla glaciale Elsa. Sul discorso inerente Francesco Monteiro e Salvatore Cannavacciuolo Miyazakiani, ormai è per metà un mantra per l’altra un coccodrillo. Impostosi il modello Ghibli negli anni 90 con l’Annecy per Porco rosso e l’Annie per Principessa Mononoke è più o meno da quella didascalica promessa di ritiro del 2009 (ne discusse con Grazia Casagrande su Ciak) che è iniziata la caccia grossa a un erede, roba che nemmeno Questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo con Spencer Tracy, Mickey Rooney, Jimmy Durante e Buster Keaton.
In questo caso al loro posto abbiamo avuto di volta in volta il summenzionato Hosoda, perlomeno da Wolf children i bambini lupo Ame e Yuki, pellicola per la quale abbandonò l’essenza cyberpunk che l’accompagnava e definiva dai tempi di Digimon our war game passando per Superflat Monogram e Summer Wars, corealizzati con Takashi Murakami il primo uno spot per Louis Vuittonc il secondo il suo primo film indipendente, nonché prequel spirituale di Belle: Oz come U, la forza umile di Natsuki Shinohara come quella di Suzu Naito, il Bugs Bunny in piumino King Kazma come controparte emblematica di quel Drago di Belle in cui convivono anche il licantropo di Wolf Children e il barone Omatsuri dell’omonimo film sceneggiato con Masahiro Ito e con ancora più forza dopo The boy and the beast, Makoto Shinkai con 5 cm al secondo, I bambini che inseguono le stelle, Il giardino delle parole e il suo Citizen Kane Your name. E per concludere un membro dello stesso Ghibli, Hiromasa Yonebayashi, dopo Quando c’era Marnie messosi a contribuire allo Studio PonoÇ sollevando quindi la domanda sulla legittimità di questa forsennata sovrapposizione.
Miyazaki, se un erede deve avercelo, gli si conceda il solo Yonebayashi; il figlio si è dato all’animazione controvoglia per essere imparziali,
“Ma le migliori intenzioni non bastano al figlio, che anima una brutta copia delle opere del padre,
banalizzandone il relativismo morale, trascurando le qualità caratteriali dei protagonisti e semplificando la poetica della scrittrice americana. I personaggi sono introdotti in media res e privati del passato che ha suggestionato la loro vita e condizionato il loro agire.
Come il principe Arren, Goro dovrebbe freudianamente “uccidere” il padre: per assorbirne la potenza e la colta visionarietà, per fondare (forse) una nuova mitologia animata”
Marzia Gandolfi
Hosoda è troppo computerizzato, Shinkai è campagnolo, onirico e antimilitarista (Oltre le nuvole il luogo promessoci) ma di essere erede non potrebbe importargliene di meno, e infine potrebbe esserci Mamoru Oshii, ma l’abbé di Tokyo è ancora più asettico di quello di Nagano, se è opinione condivisa che i suoi film (particolarmente Ghost in the shell, Avalon, Ghost in the shell II, l’attacco dei cyborg, Sky crawlers e la finora ultima opera Garm wars l’ultimo druido) non offrono lo stesso intrattenimento universalmente accessibile dei film Ghibli.
CALISOTA HERE I COME
Anzi: con colossale spregio Hosoda si rivolge alla Disney e “rubacchia” La bella e la bestia di Gary Trousdale. Su Akira Valerio Paccagnella si permetteva le suddette parole E’ una merda. Non c’é proprio altro da dire. Un disastro narrativo sotto ogni punto di vista, e la cosa più triste è che viene innalzato a capolavoro solo perché uscito in un’epoca in cui predominava il modello Disneyano e questa schifezza puzzava di trasgressione. E cosa succede adesso che un regista che come Otomo è inserito a furor di popolo tra gli alternativi prende più di una scena da un film Disney obbedendo e facendo il suo L’incantesimo del lago, Pollicina o Il re ed io (quello della Warner Bros animato, non il severo capolavoro di Walter Lang con Yul Brynner della 20th Century Fox)? Si potrà dire che il regista è lui e può fare quello che vuole. In realtà il discorso è per sommi capi lo stesso di Earwig e la strega di Keiko Niwa, primo film in CGI del Ghibli: un innovazione inaspettata, un ordigno che come direbbe Svevo è stato concepito in segreto da chi è come gli altri ma degli altri è un pò più ammalato, dall’altezza di una nazione politicamente scorrettissima come il Giappone una filippica contro l’Occidente e la sua deriva votata a quel totalitarismo morbido chiamato Cultura del piagnisteo da Robert Hughes, che ha nel femminismo l’esecutore inquisitorio tanto capriccioso quanto rettilineo nella sua spietatezza (leggasi Sex and the unreal city di Anthony Esolen).
PARADISO AMARO
Se Oz e Love Machine parlavano di una cultura della moratoria fatta di pressioni sociopsicologiche che porta i soggetti a isolarsi e a cadere nella condizione dell’hikikomori, l’alienato che non sa affrontare la realtà ma deve anteporle i troppi e ben poco filtranti muri divisori di una virtualità che ha evoluto in modo perverso le teorie di Pirandello sulle maschere nude e di Erving Goffman sulla società come teatro illudendoci di poter essere noi a dirigere e interpretare il nostro spettacolo sociale in opposizione non estremista a una campagna ancora sufficientemente predigitale da non imporre ruoli inesatti pur però a propria volta facendoci cozzare con obblighi (ongiri) la cui natura diversa è però nel dover mostrare fedeltà e obbedienza a persone carne della nostra carne e a noi legate da un vincolo d’amore non romantico ma concreto, schietto, che compensa abbondantemente la propria ruvida carenza d’affettuosità con una presenza costante e decisiva.
Sakai Jinnouchi la cariatide della famiglia Shinohara oltre ad aver vissuto tutte le trasformazioni del Giappone dal dopoguerra alla contemporaneità ultrapiatta (somiglia molto a Chiyoko Fujiwara la cercatrice di Millennium actress di Satoshi Kon) non sarà la persona più empatica del mondo ma pur come puro fantasma (nella macchina?) assiste il resto della sua famiglia fino all’ultimo-U, il Drago, Tokoraemaru riprendono in mano lo stesso discorso ma vi aggiungono complici rivolgimenti epocali cresciuti nella melassa dell’inconscio globalizzato di cui nel 2009 di Natsuki Shinohara quasi non ce se ne accorgeva invettive tutte centrifughe, verso l’industria culturale hollywoodiana che nonostante tutto continua (perlomeno ci prova) a dettare il metro della nostra fantasia, dei nostri sogni, dei nostri numi.
Suzu Naito come Kenji Koiso fugge dalla realtà nel della Naito caso sull’onda non conclusasi di un lutto
familiare, circondata in modo martellante da un universo dal carattere di caverna platonica che osa l’impossibile, nel con/fondere il futurismo superficiale del bubblegum pop (Le agenzie di talent scout li scovano, insegnano loro a cantare e danzare, scrivono i testi, elaborano per loro un look, una personalità, una gestualità peculiare a cui attenersi; infine, quando la loro immagine mostra di essere sfiorita, li scaricano Alessandro Gomarasca) la cui ulteriore evoluzione dall’aroma perverso sono gli aidoru virtuali come Hatsune Miku (almeno fino al 2013 di The End di Keiichiro Shibuya che l’ha “usata” su licenza dei suoi programmatori della Crypton Future Media esordito al parigino Chatelet che parla di morte e finitudine) un eterna diva, un Eva futura che come Belle e in piccolo Shinoharachan con le mentalità di Vanity Fair, Condè Nast e Rupaul’s drag race, e non è sfuggito quanto Belle e Diamante Rosa di Steven Universe si somiglino.
Tu hai paura di me
Il paragone disneyano? Dopo gli eccessi misandrici di Frozen leggetevi in merito questo anche in Disney con Zootropolis, Oceania, Raya e l’ultimo drago e Encanto c’è stato un doveroso ripensamento. Facendola breve abbiamo avuto il gioco di squadra senza unioni sentimentali tra Judy Hopps la cui forza è nell’umiltà e nel capire di essere una privilegiata
Il tipo che deve essere messo la museruola? Il tipo che ti fa pensare di dover portare in giro un repellente per volpi? Sì, non credo che non abbia notato quel piccolo oggetto la prima volta che ci siamo incontrati.
Aspetto.
Permettimi di farti una domanda.
Hai paura di me? Pensi che potrei impazzire? Pensi che potrei diventare selvaggio? Pensi che potrei provare a mangiarti? Lo sapevo, eh. Proprio quando pensavo che qualcuno credesse davvero in me, eh? Probabilmente è meglio se non hai un predatore come partner
e Nick Wilde, la risposta all’origine di tutti gli incels in un film dove sono i gay/erbivori i cattivi, la crescita di Vaiana che in viaggio con Maui capisce di non dover fuggire dalle sue responsabilità e di dover servire il suo popolo e che lascia tutto lo scontro finale con Te Fiti al simpatico semidio mezzo Eracle mezzo Prometeo mezzo Lucifero (Io non sono nessuno senza il mio amo), riproponendo le dinamiche del Classico precedente, finendo con i 59esimi e 60esimi Classici il primo dominato da un femminismo feroce e assetato di Dio, dove le morbose lesbiche Raya e Namaari si “comunicano amore” a suon di furibonde spadate da imbarazzare Scorpion e le vittime dei Druun si pietrificano con le mani accoppiate in preghiera e l’infida famiglia Madrigal, perfetta utopia femminista vista da fuori ma disastro ferroviario misandrico una volta messa alle strette che mostra l’inesistenza del patriarcato (Pedro Madrigal si è cavallerescamente sacrificato per la moglie Alma ed è stata lei a militarizzare l’afflato femminista che un uomo che ama le donne come Pedro avrebbe voluto, trattando da Cenerentola Mirabel, caricando e opprimendo Pepa, Julieta, Isabela, Luisa, Dolores e Bruno, il paria della famiglia che mostra tutta l’arbitrarietà della sua misandria avendo assestato tutti e gli unici bastoni a lui e giocando con le carote ai danni di Camilo e Antonio, rispettivamente un mutaforma a cui è vietata un identità unica e immutabile e uno zoomante che ha difficoltà a capire l’animale uomo).
Ma la narrazione è ancora Elsa e tralasciando l’astuta Pixar (ma davvero non vi siete accort* quanto male Luca presenti l’omosessualità?) e la stoica Dreamworks (è più o meno da Ginormica che lo studio di Glendale è indifferente alle questioni di genere) ci deve pensare il vecchio continente.
La questione familiare di Suzu viene mostrata come un problema semplice da risolvere se se ne ha la voglia, che in Suzu viene alla fine del suo viaggio dell’eroe, e in un epoca di nuova demonizzazione del padre la domanda di Koji Naito (la della Suzu padre) se essa voglia la cena può far pensare all’aver scelto all’odio scaturito dallo SCUM manifesto di Valerie Solanas e dal pianeta Venere di Elda Tattoli una totale freddezza, da post famiglia a metà tra la tradizionale alienazione giapponese di Kitchen di Banana Yoshimoto e la scomparsa della famiglia anticipata da Futuro in trance di Walter Trevis, in realtà è un esercizio di fiducia.
Suzu deve elaborare un lutto il cui peso è influenzato dall’egocentrismo infantile, già fatto da Hosoda per Mirai e con un vero bambino come protagonista, e come fatto da Oz (ma anche File) per Kenji Koiso U rappresenta uno sfogatoio per la contrita Suzu-dilaniata nel suo equilibrio interiore sia dal lutto irrisolto che dalle ansie da prestazione della vita liceale, tra amiche invadenti e senpai che si è costretti a invidiare-e poi Regno della Sapienza di Il casello fantasma di Norton Juster il cui omonimo lungometraggio diretto da Chuck Jones come il film di Hosoda è un patchwork di tecniche cinematografiche, mondo fantastico che a differenza del più celebre paese delle meraviglie ha una chiara finalità pedagogica che porta Suzu come Kenji come Milo dall’Evasione del Prigioniero invece che dalla Fuga del Disertore, quella che pur con ottime ragioni insegue, ottiene e consuma il misterioso Drago, assieme a Justice le due facce della maschilità all’epoca dell’automatrimonio e egofilia (Sophie Tanner, ma le origini sono il Soggetto Autoerotico di Carla Lonzi, puntualmente l’ennesimo frutto del femminismo occidentale anni 70).
Secondo l’immortale cantore di Endor e dell’Orodruin in cui Sauron forgiò l’Unico Anello per domarli, per trovarli, per ghermirli e nel buio incatenarli la prima è un atto neutro, che ha la possibilità di diventare come la Fuga del Disertore, ma che può diventare un atto di giustizia (Bilbo e Frodo e le loro fughe dalle grinfie dei goblin e Ungoliant e la sua stirpe di ragni con l’aiuto di Gandalf), nonché un esperienza per imparare come affrontare la “prigione della realtà” mentre nell’altro caso si tratta di un immaturità che porta alla resa verso la paura, al preferire il puro e semplice allontanarsi da tutto al coraggio di lasciare quello che già si conosce per l’incognita, l’ignoto che un mondo diverso dal proprio e consequenzialmente all’infuori del nostro controllo e del nostro capriccio esiste agendo come fascino e repulsione.
Tolkien in tutta la sua gloria
Come già detto nel preambolo, strutture archetipiche junghiane non possono mai essere cambiate. E certamente Hosoda con Belle non intende mai farlo. Come l’annoiato Milo con l’eponimo casello il primo incontro di Suzu con U è titubante, qui un noto sicuro ma depauperato di là, oltre le inquietanti ma ipnotiche possibilità del fantastico, pressoché inesauribili.
CHE SIGNIFICA ESSERE BELLI?
Una volta entrata in U con l’avatar (User) Belle, Suzu Naito vive in prima persona il discorso filosofico sulla bellezza di Umberto Eco tacendo di cosa ne dissero in saecola saecolorum Eulero, Kant e Aristotele. Bello come oggettivo e oggettivamente bello come diceva Immanuel Kant? Bello e buono come diceva Plotino? Suzu viene chiamata bella attraverso il suo alter ego, ma bella per quale motivo? Ha le lentiggini; le lentiggini sono belle? L’inizialmente gelosa Peggy Sue (simile a Mary Sue, il nomignolo dispregiativo nato dalle fanfiction di Star Trek per indicare un personaggio femminile volto con i suoi smisurati poteri, il suo alure supersexy e il suo vincere sempre a compensare la mediocrità dell’autrice), assai simile all’altrettanto tonitruante e edonista Shank di Ralph spacca Internet di Pamela Ribon è oggettivamente bella quanto Belle, eppure come la Regina Cattiva di Biancaneve si lascia influenzare da una gelosia costruita artificialmente (come insegna il 57esimo classico Disney) dalla marea di commenti che, all’arrivo del Drago e alla caccia della sua vera identità (qualcuno ha detto caccia all’Easter Egg di James Halliday in Ready player one sia il romanzo da 5500 copie di Ernest Cline che il film da 582mila $ di Steven Spielberg?) raggiungono l’amaro culmine della demenzialità e dello sciacallaggio. E non risparmieranno certo Belle/Suzu, fino al gesto d’ignorarli.
CONTRO LA GUERRA DEI SESSI
Come Batman il cavaliere oscuro di Frank Miller quando l’abbaiare mediatico era ancora circoscritto a tv e giornali l’apice dell’eroismo è combattere per ciò che è giusto, Bruce Wayne con la sua forza di volontà, l’onestà insegnatagli dai genitori uccisi a Park Row e il sentimento verso Gotham e verso il pipistrello archetipico che irruppe dalla sua finestra nel momento di più profonda confusione, ricorrendo anche alla forza muscolare contro Superman, emblema dell’ideale astratto, per Suzu Naito con una spoliazione, un rifiuto della violenza anche difensiva tutto, esclusivamente femminile (Ma nella penombra della riflessione viene fuori un’Iliade che non ti aspetti. Vorrei dire: il lato femminile dell’Iliade. Sono spesso le donne a pronunciare, senza mediazioni, il desiderio di pace. Relegate ai margini del combattimento, incarnano l’ipotesi ostinata e quasi clandestina di una civiltà alternativa, libera dal dovere della guerra Alessandro Baricco), che cozza con il culto della guerra al patriarcato americano.
IL VERO FEMMINISMO E’ PER LA PACE
Tuttavia come già detto, anche in Disney c’è chi non vuole marciare nell’esercito di Elsa (Preferisco ammazzare il tempo, Preferisco sparare cazzate, preferisco fare esplodere una moda, Preferisco morire d’amore, Preferisco caricare la sveglia, Preferisco puntare alla roulette, Preferisco il fuoco di un obiettivo, Preferisco che tu rimanga vivo Michele Salvemini-Follie preferenziali-Verità supposte) contro un nemico cancellato anzitempo e a favore degli inspiegabili Northuldri, da Moana/Vaiana che si occupa dell’accoglienza e della pacificazione dei conflitti con Te Fiti mentre il muscoloso semidio guerriero Maui la combatte mettendosi in gioco alla lotta tra donne al centro del 59esimo Raya e l’ultimo drago risolta accettando le voci paterne mentre Sisu, la svalvolata draghessa tra tutto il party raccolto dalla principessa del Cuore del Drago la più pura e disinteressata e come la minoranza capeggiata da Erin Pizzey sacrificatasi in modo meno asiatico e più cristologico all’ultimo, il 60esimo, il colombiano Encanto (il cui sceneggiatore Manuel Miranda ha giù a Puerto Rico le radici della sua famiglia) come Tuttodunpezzo di Cristina Bellemo incentrato sull’accettazione, l’ammissione e il rapporto con/delle proprie debolezze, e la critica a un femminismo belligerante (Luisa Madrigal), propagandistico (Dolores Madrigal), ipercritico (Isabela Madrigal).
Il che ci porta al Drago e Justice, capo e leader degli omonimi avatar guerrieri, unici detentori dell’ordine su U, e al 30esimo classico Disney putacaso all’uscita di Belle al suo trentennale. Il confronto tra Giappone e America è a dir poco impietoso. Evitando le sclerosi apocalittiche di Valeria Arnaldi che
nel suo L’uomo secondo Disney immagina addirittura di dover sventare una guerra dei sessi non si può però negare che i timori della saggista romana siano frutto di analisi, anche molto attente e specifiche. I “principi azzurri” nascono come anonimi salvatori e amanti fedeli all’epoca di Biancaneve e Cenerentola, acquisiscono un nome in La bella addormentata del bosco, ma scalzano la principessa solo con Robin Hood, uscito 7 anni dopo la morte di Disney.
Robin Hood
Robin guarda trent’anni avanti in là nel tempo alle figure principesche del Rinascimento: sbruffone come Aladdin, donnaiolo come Febo, domatore di bisbetiche come Naveen. E proprio dal Rinascimento in poi che l’Arnaldi concentra la critica alla crescente “misandria” disneyana: Girl Power: è stata questa la filosofia che, negli ultimi anni, ha visto la Disney far primeggiare le donne, non più solo bellezze da salvare ma eroine indipendenti dall’uomo e spesso quasi “contro” l’uomo.
Rivoluzione femminile
In questa rivoluzione, a rimanere schiacciata è stata proprio la figura maschile [….]L’uomo diventa ombra della donna, facendosi progressivamente suo mero assistente e poi addirittura un peso nella sua corsa verso il futuro.
Sicuramente ogni principessa raccoglie lo spirito della sua epoca, dall’umile regalità tanto di Biancaneve che di Cenerentola, rivettatrici Rosie senza gesto dell’ombrello, poi in tempi di boom economico Filippo prende l’iniziativa e va incontro a Aurora combattendo il matriarcato passatista con 3 donne più emancipate e pacifiste come aiutanti come Jean Louis Trintignant in Il sorpasso di Dino Risi, nel caso del film di Clyde Geronimi, Wolfgang Reitherman e Les Clark con un sorprendente afflato femminista visto che all’emancipazione non contribuisce un altro uomo ma ben 3 donne.
Lady Marian e Lady Cocca 14 anni dopo sembrerebbero rifare Aurora e le sue 3 madrine Flora, Fauna e Serenella, ma Lady Marian cerca l’avventura, non può accontentarsi di una vita passiva dentro una torre. Quando gli autunni degli anni 70 erano più caldi la Disney si decise a aprire al femminismo? Il ventennio prima del Rinascimento è ambiguo. Abbiamo l’esordio femminista di Robin Hood e Il mistero del dinosauro scomparso, per non parlare di Pomi d’ottone e manici di scopa, ma in capo a un altro decennio alle battagliere Lady Marian, Helen Hayes e Angela Lansbury vengono scansate dalle più passive Yvette Mimieux di Il buco nero, Cindy Morgan di Tron e Eileen di Taron e la pentola magica, divisibili tra arrosti dal troppo fumo come la Mimieux, le cui facoltà extrasensoriali servono solo per avvertire altri e non per combattere, nelle scene più inquietanti, da fantahorror con astronavi infestate un anno prima dell’Alien di Scott ridotta a un impotente scream queen e la Morgan che a parte la scena della vela solare non combina granché d’altro a Eileen, intenzionata a convivere con il campagnolo Taron e il padrino Sospirello (un novello Merlino) ma a parte questo guizzo troppo simile a quello di Lady Marian di seguire l’ex eroe di Sherwood in altre avventure il suo contributo è nuovamente anonimo, come 26 anni fa pare contribuiscano di più le 3 streghe Orchina Orcona e Orvina. Certo, la decade ci ha dato Jessica Rabbit del fuori canone Chi ha incastrato Roger Rabbit? Ma nuovamente l’ambiguità si ripresenta, ed è la stessa ambiguità della Belle di La bella e la bestia, “saccheggiato” da Hosoda.
IL LATO DELLA FORZA CON I BISCOTTI
Belle (quella di Hosoda come quella del 30esimo classico di Gary Trousdale) ha una forza che solo Oceania e Encanto-e in maniera parzialmente più attiva Zootoprolis-hanno riscoperto e nuovamente valorizzato: la resilienza.
Belle e Vaiana sono ragazze, una benestante, una figlia del capo della tribù Waialiki dell’isola di Motunui, delle inconsce privilegiate che volano ancora troppo al di sopra delle loro responsabilità e questo si vede in un imperfetta immaturità che in Belle è una sindrome di Don Chisciotte, una misandria da “non-ho-bisogno-di-ragazzi” espressa attraverso le stesse civettuolerie della Cindy Lauper di Girls just wanna have fun e successivamente delle Spice Girls di Saturday night divas da Spiceworld (quando si prende gioco di Gaston e del tipo di donna che Belle crede che Gaston voglia) mentre in Vaiana nell’escapismo che le fa fraintendere la natura e la finalità delle antiche navi della Grotta degli Antenati, destinate a divenire mezzi per la responsabilizzazione di Vaiana in vista della sua salita al trono.
Le 3
Le tre protagoniste (le due americane e la giapponese) sono obbligate a uscire dalla loro comfort zone d’immaturità da un incontro traumatico con una mascolinità, nel caso di Belle, vecchio stampo, antica, aristocratica e manifesta nella sua “tossicità” (Gaston invece sembra più un prototipo dell’arresosi e incattivito maschio metrosessuale rappresentato dal cattivo di Fight club interpretato da Jared Leto) che l’imprigiona, la obbliga a sottostare alle sue regole, diventando migliore nel corso del film ma parallelamente a un evoluzione di Belle, alla fine nettamente più umile dell’inizio della sua disavventura nel Chateau de Chambord, in quello di Vaiana semplicemente vecchio stampo, addirittura cosmogonico
(Ehi, sai chi ha portato il cielo fin là Tu non parlavi ancora, io agivo già, Poi c’è stato il fuoco e rubarlo è stato un gioco, Mi ci è voluto poco Oh, e contro l’oscurità Non ringraziarmi Vi ho portato il sole qua Ho imprigionato i venti (Che bravo) Rendendo i marinai contenti),
quella di Maui, differentemente dalla Bestia più orientata a un alleanza senza implicazioni sentimentali ma ugualmente critica della protagonista, critica se necessario anche spietata, e per Suzu non un semplice ctrl+alt+canc di quanto successo ormai 31 anni fa a ben altra protagonista, ma come per l’innocente Ralph, figlio di quegli anni 80 a cui è sconosciuta la cancel culture
(ma gli esempi di Robert Hughes tratti dal suo Culture of complaint, da un Robert Mapplethorpe biasimato dall’autore stesso al suo avversario moralizzatore Alexander Helms la cui Helms vs Kardon innesca legalmente un serpente che si morde la coda a quelli di Paul Virilio tratti dal suo La bombe informatique parimenti su un blasfemo magnate del porno, Larry Flynt e alle insulse confusioni tra etica e estetica nell’apologia dell’osceno, variamente voltati agli anni 80-Roseanne Barr di Pappa e ciccia, Charles Colson, Susan Estrich solo per lo Hughes-ci allontanano con più forza che mai da credere anche in questo ambito ci siano state età dell’oro)
un inevitabile e necessario anziché no spaesamento, proprio di chi è cresciuto quando i social network non c’erano e se le malelingue dappertutto già c’erano e ci sono sempre statestrong>il Drago vuole Belle per disilluderla, uno ha un padre ma è orfano l’altra è orfana ma ha un padre, Justice giudica a prescindere e al di fuori, come Suzu attraverso Belle ha scelto di vivere, protetto da un But never relax at all With our backs to the wall di marchi pubblicitari, le neutrali zecche che possono, coalizzate come vespe sdegnate suffragare tanto una guerra mondiale (Contro i nazisti bevi Coca Colatm! Mangia biscotti Nestlètm! Usa benzina Mobil! Fuma sigarette Chesterfield! Illumina con le lampadine Mazdatm! ) che una rivoluzione psicosessuale (a Woodstock Rose Simpson si truccava Tussy, gli Sweetwater mangiavano biscotti Parle, Santana girava su magnetofoni Sonora, i Grateful Dead raggiungono il palco in Ford Cortina, Roger Daltrey rumina caramelle Downthree) in una ignava promozione di tutto e il suo contrario, basti pensare che nel 1996 il Big Mac del tuo McMenu aveva un cordon blu ottenuto torturando a morte mucche innocenti e nell’Happy Meal per la prole i panda ecosostenibili del WWF, i bambini tifano il Drago irriflessivamente, come ai bambini dai Monsters in My Pocket della Giochi Preziosi ai Villanious di Cartoon Network, per non parlare delle streghe di Philipp Pullman tra le quali Serafina Pekkala da La bussola d’oro in cui Giovanni Ortiz riconosce un “femminismo intrinseco” e tutto il merchandising escogitato tra giochi per la PSP e cereali Nestlè (Buongiorno, signore e signori. Io sono l’orco. So che non avete piu’ paura di me. Certo, io sono diverso da voi, ma fin dalla piu’ tenera eta’ vi e’ stato detto che del diverso non dovete avere timore. Che non e’ come voi. Certo, ha un suo modo di vedere le cose, ma ogni punto di vista ha valore e non si puo’ dire quale sia migliore. E’ fatto a strati, come le cipolle, e non potete giudicarlo solo dalla buccia. Quanti cartoni animati, film, telefilm avete visto dove i protagonisti sono mostri? Mostri magari orribili, ma che si possono, anzi, si devono accettare. Vampiri, uomini lupo, draghi. E orchi. Insomma, ormai vi siete convinti che questi mostri non sono poi cosi’ male. E, proprio come loro, anch’io ho la mia filosofia di vita, le mie aspirazioni, le mie convinzioni. Un tempo, anche a me avrebbero dato del mostro. I tempi ora sono cambiati. Adesso mi accettate, siete quasi curiosi di sapere come io sia fatto. In un certo senso, mi ritenetsuperiore a voi stessi) mentre in nome della grande confusione sotto il cielo cara a Zedong lo stesso intrattenimento per i più piccoli lo infama, l’isterismo collettivo dei falsi profeti gonfia, asseconda e in sé per sé suscita la caccia al Drago, infierendo su un dramma personale, Belle/Suzu manda l’intera piega della storia in corto spogliandosi dell’avatar arbitrariamente bello e quando cantare la stanca ogni altro pupazzetto per vivere per interposta essenza di U intona il resto della canzone in una scenografia mozzafiato per usare un eufemismo. Dopo il film può tranquillamente finire: Suzu ha salvato il Drago da sé stesso, U non è più un rifugio per otaku, Suzu non ha più bisogno di Belle.
MA FORSE NON E’ ANCORA FINITA
Il Drago è una mascolinità fiera ma arrogante, protettiva ma respingente, coraggiosa ma violenta, quella di un ragazzino inerme, spaventato nell’incassare più botte di quelle che si merita, E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore (Efesini 6:4), si cita la Disney ma anche la filosofia dei demoni interiori di Naruto, Monster Rancher, Il destino di Kakugo, i violentissimi pugni di Genocyber e Riki-Oh alludono sia all’attrazione morbosa degli otaku per la violenza più estrema, sia in casi venali come il pezzente Highschool of the dead che ben peggiori, Tsutomu Miyazaki e il suo infelice caso, tutto risolto dalle virtù femminili di Suzu. La femminilità morbida, accogliente ma forte e capace d’offrire protezione è la soluzione; non è solo il costringere gli otaku e gli hikikomori a
uscire di casa e trovarsi una moglie, ma accogliere un femminismo diverso, libero di essere principesco, umile, medievale-Sovra candido vel cinta d’uliva donna m’apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva. Oggi che le donne possono fare tutto quello che vogliono certi insegnamenti dovrebbero apparire ormai obsoleti… Invece ci si stupisce di constatare il contrario, ogni giorno di più.
#Femminismo #Hosoda Mamoru