MONONIKEHIME: La rabbia delle donne, la saggezza degli uomini. | ANIMEHIRO
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MONONIKEHIME: La rabbia delle donne, la saggezza degli uomini.

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MONONIKEHIME: La rabbia delle donne, la saggezza degli uomini.

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Austerità. Controllo imposto ai propri desideri ed esigenze; intransigenza e inflessibilità nei confronti di sé stesso.

Come i vecchi cinematografi di dove a 17 anni assistette a La leggenda del serpente bianco del pioniere Taiji Yabushita Hayao Miyazaki-che da quel film e Snežnaja koroleva di Lev Atamanov trasse lo sprono per diventare animatore salendo sempre più i ranghi e trovando collaboratori preziosi come il mai troppo compianto Isao Takahata, Joe Hisashi (suo musichiere più e più volte), Hiromasa Yonebayashi e Katsuya Kondo ha mantenuto il carattere imperturbabile, lo sguardo attento e severo, la parlata pertinente e che non esagera mai nè in dire di meno nè in dire di più, l’ordine suo e della sua persona, un immobile eleganza come quella delle acque del porto di Tokyo.

Una gag ricorrente a carico del vignettista Dan DeCarlo è quella che nonostante avesse disegnato le donne più sexy del cartoon vignettistico americano non era affatto un Adone. Allo stesso modo, un uomo così tranquillo nel suo piccolo ha immaginato e realizzato con il suo staff alcune delle scene più al cardiopalma dell’animazione nipponica.
La vocazione all’action precede il suo Kabushiki-gaisha Sutajio Jiburi con quel Lupin III° il castello di Cagliostro

Il ruolo di Yoshinori Kanada

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Lo zampino fondamentalmente va spartito con Yoshinori Kanada, le cui esagerazioni grafiche e dinamiche dopo un ingresso in sordina nell’anime Daikyu Maryu Gaiking, il “robot prodigo” di Go Nagai, oggetto di una bagarre legale con la Toei durata vent’anni, trovò poi in Yoshiyuki Tomino e la sua Sunrise un mecenate ancora più attento, incrociando la strada di Miyazaki due volte, nel 1983 mentre lavorava a Nausicaa della valle del vento e nel 1993 mentre il Ghibli lavorava a Principessa Mononoke. Il quale è tra i 22 film finora prodotti dal Ghibli non solo un altro pieno di spettacolari scene e acrobazie disegnate dove la gravità è un optional ma anche uno dei più violenti. Vietato ai minori di 13 anni in America già l’esordio con l’imponente Dio dei cinghiali Kokoto che travolge il villaggio di Ashitaka in un una condizione tra l’inquietante, il viscerale e il dolorosissimo ne fa lo spartiacque pure con un film in sè altrettanto “adulto” come Porco rosso (perchè ad un bambino quanto gliene può importare della storia dell’Italia fascista?) esplorando una messinscena della violenza molto più repentina e meno edulcorata, tuttavia rimanendo artisticamente e filosoficamente d’accordo con altri film successivi e precedenti. Le baruffe dove persino l’affilatissima katana di Goemon de Il castello di Cagliostro non lascia dietro di sè la minima traccia di emoglobina cedono il passo a un gigantesco suino che s’abbatte su case e esseri umani con la ciclopica distruttività di Godzilla, l’informe implacabilità di Caltiki il mostro immortale e un corpo in lento scioglimento delle carni in stile Horror in Bowery Street di Michael Muro.

Scene più sanguinarie

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Già in Disney When you wish upon a star….welcome to my nightmare/i hope you gonna like it. Certo, abbiamo visto di peggio, diciamo che le teste che esplodono di Ken il guerriero ci hanno traumatizzato molto di più, e non può certamente sfuggirci il parallelo con Akira e la scena della metamorfosi-decomposizione di Tetsuo, che in questo caso avviene vicariamente per il protagonista, il cacciatore Ashitaka con il suo cervo Yakul, contaminato da Kokoto mentre cercava d’arrestarlo. Con i giorni contati l’unico indizio per guarire è un frammento di ferro che apparentemente ha contaminato il Dio Cinghiale, forgiato nella prefettura di Yawata, chiamata all’epoca Tataraba, come specifica il nome una città-raffineria che sta disboscando la vicina foresta di Aokigahara (realmente esistente attorno a Nagano, alle pendici del Fujiyama) per impiantarvi miniere. Gli animali della foresta con le loro regali divinità (morto Kokoto gli è subentrato Okkoto dal pellame bianco-forse al Ghibli sono fan di Franco Battiato-a rappresentare i cinghiali, le scimmie e San, capobranco dei lupi) consequenzialmente difendono il territorio con un umana dalla loro, Mononokehime la principessa spettro, dalla minacciosa e demoniaca maschera Jomon (i Jomon sono stati il primo popolo organizzato della storia del Giappone, dopo le migrazioni dalla Cina e dalla Corea, a cui apparteneva il popolo Haniwa/Yamatai, in pratica i cattivi di Jeeg Robot d’acciaio). Con pugnale di cristallo e a cavalcioni della madre putativa San è la nemica giurata della regina-capocantiere-Clarice Orsini della Tataraba, Eboshi, forse uno dei personaggi femminili più complessi di Miyazaki. Il viaggio di Ashitaka alla ricerca di sè stesso è un percorso di formazione che porta all’elevazione tutti i personaggi del film che, più di altri, propone una formula da sempre presente nelle opere di Miyazaki ma che qui diviene regola: quella di non strutturare la tensione interna alla pellicola in un banale scontro tra Bene e Male.

L’assolutismo e la sensibilità di Principessa Mononoke

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Questi concetti, così assoluti, in Principessa Mononoke sono totalmente contaminati, tanto da confonderli in maniera impressionante. In particolare il villaggio di Eboshi contro cui si scagliano gli animali è icona di quanto possa essere cieco l’essere umano ma al tempo stesso ricco di pietà (Andrea Fontana-Sognare un pacifismo animato-I mondi di Miyazaki a cura di Matteo Boscarol). San, umana che i lupi hanno adottato e che ora vive in mezzo a loro da estesiana donna che corre con i lupi, feroce guerriera mascherata la cui imprevedibilità l’ha fatta soprannominare Principessa spettro, il cui odio la rende cieca, bestiale in tutti i sensi, ancorchè assolutamente crudele con chi non riesce a vedere se non come un nemico: è solo il suo addestramento militare che permette all’eroe della vicenda, il guerriero montato su uno yakkuru Ashitaka di difendersi durante il loro “primo incontro”. L’unica parte di natura che pare indifferente all’odio e alla violenza è il Dio Bestia, un enorme cervo dal volto umanoide il passo dei cui zoccoli imfiorisce il terreno per farlo rinsecchire appena dopo, personificazione dell’ambiguità della natura: indispensabile all’uomo ma all’uomo non indispensabile, morte e vita unite, inquietante nell’aspetto ma sempre nel suo aspetto rassicurante al medesimo tempo, e Eboshi-san, nobildonna protofemminista che dirige un gruppo di fabbre in quella che è chiamata Tataraba, il cui depredare la foresta degli dei non persegue quindi altro scopo se non garantire l’emancipazione alle donne in un epoca molto meno garantista della nostra.

Le emozioni negative e vive

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La rabbia, l’odio che nelle animazioni di Kanada e Hiroshi Shimizu, nelle musiche rituali, percussive e allo stesso tempo ariosamente orchestrali di Hisashi diventano uno stato di (perdita di) grazia. L’omino semplice, austero, i cui film sono silenziose gallerie artistiche (come quelle della pinacoteca ambrosiana della Milano di Porco Rosso) in cui ogni scena è un dipinto o una scultura da ammirare svuotando la mente dimostra di saper gestire anche l’azione più indiavolata dandole una pulizia e una comprensibilità, nonchè una formalità artistica che ben giustificano le opinioni molto laconiche e ben poco lusinghiere sullo stato degli anime moderni, il celeberrimo Anime was a mistake detto appena dopo l’uscita del suo sentito ma doveroso addio all’animazione Si alza il vento. A metà tra Akira Kurosawa (suo collega, ammiratore e convintissimo dell’impossibilità di paragonare le loro cinematografie), Sergio Leone e Quentin Tarantino quando con il suo decimo film s’inoltra in territori di ben maggiore violenza, toni più adulti tuttavia non voyeuristici nè compiaciuti, distanti insomma da Akira e più vicini al raffinato incubo prima regia di Satoshi Kon Perfect Blue.

Tra ragazzina e Femme Fatale

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Uno stato di (dis)grazia scaturente dalla filosofia di una ragazzina e una femme fatale, una estesiana donna che corre con i lupi e una Pandora-Prometeo che apre il vaso della foresta e del suo grande Dio riecheggiante il dio Cernunnos della mitologia celtica per rubarne il fuoco dell’acciaio e del metallo (dopotutto il defraudato Efesto è il fabbro dell’Olimpo) creando il progresso e il regno umano distanziato dalla natura dell’antropologo francese Quatrefages, la Natura di sangue e artigli, meravigliose foreste e belve feroci nostro amnio e nostro Cocito e la Cultura inquinante le cui macchine e armi attaccano e uccidono la prima, ma che lascia sopravvivere i più deboli e dà loro un ruolo attivo-protetti e con il lavoro garantito da Eboshi vediamo numerosi paraplegici e donne, ex prostitute che ora forgiano armi emancipandosi-e applica la strategia, il rispetto, la pietà e la diplomazia. E’ sorprendente come Ashitaka trovi più morbidezza e comprensione quand’è con la cattiva Eboshi mentre dalla buona San ottiene freddezza e strafottenza. Nulla di strano però se si conosce la filosofia neoplatonistica dell’autore. Partendo dall’affinità teologica tra lo shintonismo con il mondo di piccoli dei in equilibrio perennemente instabile, prono alla corruzione e già caduto e il cristianesimo con il peccato originale (Ashitaka crede che siano le armi di Eboshi a suscitare il demone dell’odio negli animali ma in realtà questo demone è già dentro di loro, anche dentro Ashitaka), Miyazaki ha sì creato veri malvagi come Cagliostro e Muska, il conflitto nella sua poetica è tra forze con torti e ragioni combinate e frammiste, che necessitano di figure mediane, veri e propri Messia, perchè ci sia un discernimento.

Il ruolo di Principessa Mononoke nello studio Ghibli

Principessa Mononoke avrebbe dovuto essere l’addio, chiudendo un cerchio ideale cominciato con Nausicaa della valle del vento, titolo #0 del Ghibli all’alba del Ghibli realizzato dalla Tokuma Shoten.
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Similitudini sul genere

La foresta del Dio Bestia come il Mare Marcio, i suoi dei come gli Ohmu, Nausicaa come Ashitaka, Kushana cone Eboshi, il re di Pejite come San. Un mondo all’alba dell’allontanamento tra uomo e natura, tra la naturale campagna e la città dove la natura viene manipolata e distrutta, e un mondo alla fine di questa dicotomia, che è rimasta costante se non stia ricominciando daccapo. In mezzo ci vanno la rivoluzione industriale con la sua ombra occulta tese entrambe a manipolare la natura in Laputa castello del cielo e Il castello errante di Howl con le loro città e miniere in cui avviene, i loro castelli avanzatissimi in questa fusione tanto inevitabile quanto pericolosa con i loro apprendisti stregoni padre di Sheeta e Howl, i loro empatici guardiani Calcifer e Markl per il secondo film e Golem nel primo, con lo spettro della guerra e come nel secondo sostituisca il demone dell’odio agendo su Howl come su Ashitaka, facendo di Howl un Ashitaka incapace di guardare al mondo con occhi liberi dall’odio, facendogli distruggere le aeronavi che guerreggiano sul “suo” territorio (Howl non è certanente un campione di maturità nè sentimentalmente-ha la nomea di bambascione sciupafemmine-nè in altri ambiti, mancando d’empatia per chi ritiene un seccatore) ignorando i soldati a bordo e i disastri ancora maggiori che verranno causati dal farle precipitare, la modernità di Il mio vicino Totoro e Kiki consegne a domicilio, dove solo le generazioni più giovani conservano ancora la chiave segreta per parlare con gli animali fantastici e volare su una scopa (da sempre Miyazaki ha fiducia nelle nuove generazioni), l’Italia fascista degli anni 30 di Porco Rosso, soffocata dall’irrigidimento dialettico, morale e filosofico di Mussolini, dopo la conferma dell’inizio dei lavori di La città incantata e quindi una carriera ancora ben lungi dal finire un mondo degli spiriti, degli dei e dei mostri ormai scisso dal nostro mondo umano che punisce i genitori di Chihiro per i loro vizi (limitati solo alla gola), impone le sue logiche sull’eroina recalcitrante che sola può entrare, raggiungendo la celebre scena del viaggio verso casa in treno con Kaonashi che mostra un fantastico e un sovrannaturale sempre più dissacrati e sottomessi alla nostra realtà, sottomissione ancora stravolgibile nello tsunami di Ponyo sulla scogliera che ribadisce quanto già detto da Nausicaa e Mononoke. Dualismo volto a concludere la carriera del Sensei con Si alza il vento, rappresentato dall’avatar animato di Giorgio Caproni (Tu, tra un mondo con le piramidi e un mondo senza piramidi, quale dei due preferisci? Quello di volersi librare nel cielo è il sogno dell’umanità. Ma è anche un sogno maledetto. Gli aeroplani portano il peso del destino di divenire strumenti di massacro e distruzione.
Ciò nonostante, io ho scelto il mondo con le piramidi.”).

Gli umani non più umani e la ditruzione

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Kushana vuole solo difendere la propria nazione in un mondo dominato dall’homo homini lupus, con la comune minaccia degli Ohmu, i Mamma Aiuto sono briganti da strapazzo, Yubaba nonostante tutto è affezionata ai suoi lavoratori e lavoratrici, la Strega delle Lande è più degna di biasimo con la sua grottesca illusione di bellezza che d’odio (non che Sophie non se la meriti quella maledizione…..), Fujimoto è una sorta di lunatico Willy Wonka non del tutto nel torto in merito al trattamento patito dal mare che ha scelto di salvaguardare diventandone un suo abitante facendo in modo. consapevole quello che per San è intrinsicità di vita (Gli umani non fanno che depredare la vita dal mare. Anch’io un tempo fui un essere umano. Se sapeste per cessare di essere umano cosa ho dovuto fare!) e darà con la “consorte” Granmammamare una mano non da poco a sua figlia Ponyo e al “terrestre” Sosuke, Caproni ribadisce la dualità degli aeroplani, una dualità propria della tecnologia…propria della natura. Tanto Miyazaki supera l’antropocentrismo criticando l’espansionismo umano, tanto vi è una critica al biocentrismo che nega all’uomo ogni merito riducendolo solo a un animale evolutosi diversamente dagli altri.

Nonostante una celebre sfuriata sul culto della patente, lo studioso di culture orientali Carlomanno Adinolfi così lo spiega:

Le macchine che si fanno padroni

Così come sempre presente è stato l’odio verso la “motorizzazione” intesa come industrializzazione selvaggia e “necessaria”. Anzi sembra piuttosto palese come la storiella della patente sia più un’allegoria per esternare il suo odio proprio verso la “necessaria” industrializzazione.

Prendere l’auto oramai è “necessario”, i mezzi e le macchine ci possiedono e ci rendono loro schiavi senza che noi possiamo più fare a meno di loro. È un tema ricorrente fin dagli esordi, basti pensare a Nausicaa o Laputa o ancor prima alla serie animata Conan il Ragazzo del Futuro che narra dei ribelli di Indastria e dei sognatori dell’Isola Perduta di High Harbor.

Ma che a differenza di quanto sostiene una certa critica superficiale e radical chic non si è mai trasformato in un ecologismo da utopia bucolica che nega la tecnologia in sé ma che anzi vede la tecnica come strumento per migliorare se stessi e quello che ci circonda, così come l’odio verso la “motorizzazione” non indica l’odio per la macchina in sé ma solo per la meccanizzazione automatica dell’uomo. Non si spiegherebbero altrimenti le numerose dichiarazioni d’amore verso scenari futuristi e ipertecnologici in cui convivono uomo e natura – intesa come insieme delle forze e dei kami che la compongono – o anche verso le macchine volanti impossibili presenti in tutti i film d’animazione di Miyazaki, macchine che non sono “necessarie” ma che sono solo uno strumento per avvicinarsi al cielo e volare liberi in spazi immensi.

La forza non più violenta e l’ipocrisia umana

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La civiltà inquina, preda e depreda, ma lascia vivere chi è troppo debole per avere la stessa chance in natura. Natura che all’opposto è pura, incontaminata, ma è transazionale, non c’è pranzo gratis, i deboli sono solo difettosi da eliminare. Ogni lato della barricata ha il suo meglio e il suo peggio, il conflitto distrugge senza far vincere, cioè di cui c’è appunto bisogno è un Messia, un mediatore, come fa Ashitaka mentre San e Eboshi combattono, una ferina e distruttiva, assetata di morte, l’altra con la nobile katana dei samurai e mosse di scherma potenti ma pazienti, ponderati, una scena action che solo nel linguaggio dei corpi racconta tutto il confliggere tra natura e cultura, con la parola tutta a onere di Ashitaka, oltre entrambe e che le media. Look, everyone! *This* is what hatred looks like! This is what it does when it catches hold of you! It’s eating me alive, and very soon it will kill me! Tutti odiano, l’odio corrompe il mondo dice il bonzo Jigo These days, there are angry ghosts all around us, dead from wars, sickness, starvation—and nobody cares. So you say you’re under a curse? Well, so what? So’s the whole damned world, ma forse il vero “scandalo” del film è l’equivalente miyazakiano del silenzio di Dio di Kierkegaard.

La responsabilità del potere

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Perchè non interviene? Perchè la distruzione della Sua foresta a opera dell’uomo è una cosa assolutamente naturale. Un campo di grano invaso dalla zizzania, uno sciame di locuste che nel documentario Disney Il leone d’Africa di James Algar vengono immortalate in compatta formazione in uno sciame talmente grande da causare un eclissi, i “pasti” dei dinosauri erbivori descritti da Giovanna Bosi….la nostra tendenza al consumo e allo sperpero è un naturalissimo meccanismo istintuale. Piante e animali non conoscono limiti, nè se ne sanno dare. Le nostre strade e autostrade non sono assolutamente lisci scivoli d’asfalto e pietra contemplando anche i marciapiedi e i cordoli. Hanno buche, crepe, cedimenti dove erba e fiori s’insinuano con le radici che caparbie arrivano addirittura a spaccare la pietra e i suoi derivati bituminosi, per non parlare delle invasioni animali, come quella dei conigli in Australia che interessò anche gli umani con l’epidemia di mixomatosi è irrealistico aspettarsi vedesse i roditori fermarsi e abbandonare quella che tra loro e umani è stata un autentica guerra (prima di quella degli emù). L’unica ecologia di Ashitaka è un uscita dalla natura che lui e i protagonisti di un avventura cominciata 7 secoli fa hanno incassato dolorosamente, un abbandono dell’animalità da parte dell’essere umano. Se già questo messaggio non fosse abbastanza sconvolgente e rivoluzionario, San e Eboshi, con l’ago della bilancia Ashitaka, dall’acerba viralità bishonen raccontano un altro lato del femminismo miyazakiano. Valeria Arnaldi, che ha dedicato al Ghibli il suo Hayao Miyazaki un mondo incantato fa su i suoi film considerazioni pazzesche, politicamente scorrette ma innegabili: Il volo è lo strumento, il sorriso la chiave d’accesso, la disponibilità, quella caratteristica da brava bambina che paradossalmente, per il sistema virtuoso delle fiabe, la protegge dal male [….] Ogni eroina di Miyazaki ha il suo compagno al maschile, questione di tradizione, dialogo tra i sessi, di riconoscimento del pubblico ma anche di un confronto funzionale alla sua filosofia. L’eroina appare in tutta l’evidenza del suo essere nuova per percezione e visione, proprio quando si libera dalla necessità del suo cavaliere.

La necessità degli Eroi

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E dunque è di un cavaliere che ha bisogno […] La vera eroina è quella che per dedizione assoluta, senza nulla chiedere in cambio, è pronta a sacrificare sè stessa, in nome di un amore oblativo. E impossibile. La sua non è una testimonianza di passione, ma di fiducia. Perchè Miyazaki in fondo mette la donna in primo piano ma lascia all’uomo il suo protagonismo, quasi fosse proprio in quel saper essere anche semplice ancella la massima dimostrazione del potere femminile [….] La foresta gli offre l’incognita di San, che non è salvezza, ma minaccia, ben differente prospettiva di un rischio portato all’estremo che invita l’eroe a scegliere tra un sereno riposo e una fiera caduta per l’ideale [….] Sono le donne a mandare avanti la fucina nella Città di Ferro, loro la forza lavoro di una città che pensa alla guerra e quindi, come storia insegna, perde i suoi uomini per il campo di battaglia o su di esso. La stessa Eboshi in quanto capo della sua comunità, ribadisce potenza e potenzialità del femminino, quasi a ricordare agli uomini che la loro stessa cultura ha origini in una società matriarcale [….] La gentilezza è la chiave di volta che le permette di entrare in contatto e dialogo con il mistero. E’ gentile con Boh, il gigantesco nipotino di Yubaba, la sua matrigna Cenerentolesca, è gentile con Haku, il suo principe azzurro curandolo e accudendolo dopo l’attacco degli shikigami, spiritici uccelli di carta, è gentile con Rin che la sta aiutando solo in cambio di un pagamento, gentile persino con la dispotica Yubaba, accettandone gli obblighi senza sottrarsene mai, senza dribbarli con dei sotterfugi […] E’ il suo coraggio a salvare anche Haku.

Il primo incontro

E’ lei che ricorda il primo incontro, lei che ama incondizionatamente, spezzando così la maledizione […] Di donne Miyazaki ne ha raccontate un harem intero, sempre imperfette, ognuna con vizi e mancanze che esulano dall’ideologia, dall’impetuosa e imperialista Kushana, generalessa fortissima amata dai suoi uomini e nel suo piccolo assieme nel torto e nel giusto all’ironica piratessa Dola molto poco onesta ma amorevole con i suoi accoliti e generosa con i piccoli aeronauti alla ricerca di un isola del tesoro che non c’è, da Kiki strega sfigata che con l’aiuto dell’aspirante Caproni Tombo capirà come cavalcare la sua scopa alle Gina e Fio Piccolo che rimangono ai lati della storia e della Storia per lasciare al vitellonesco asso Marco Pagot (condannato a essere metà uomo metà maiale dopo la Grande Guerra) di uscire dalla sua adriatica comfort zone e tornare a volare con un motivo importante per farlo, dalle già citate San e Eboshi all’arrogante e fantozziana Yubaba, la zelante e scafata Rin e la fifona Chihiro, destinata a un viaggio formativo in cui suo Pigmalione è il misterioso ragazzo-drago Haku, dalla civettuola Sophie che deprivata della bellezza dalla Strega delle Lande diventerà una donna più matura e meno preda degli ormoni, capace dell’unione tra ragione e sentimento che due film prima incarnava Ashitaka, nonchè la stessa Strega delle Lande rapita come Sophie in un inutile gara per l’immaturo e farfallone mago Howl, che Sophie salverà (come nella storia della bella e la bestia, connessione puntualizzata da Jack Zipes) a Ponyo, Granmammare e Lisa, l’istintuale, irruenta e avventata fidanzatina che butta per aria terra e mare largamente per capriccio, la Dea Madre silente e passiva, innamorata di un bambinone ancora più fenomenale come Fujimoto e la mamma del protagonista, dedicata solo a lui e alla sua salute, capace di driftare come Vin Diesel in Fast & Furios solo parti originali in mezzo a uno tsunami solo per il SUO bambino concludendo con gli amori tra realtà storica e romanzo del designer aeronautico Jiro Horikoshi, dalla cui china visionaria (e lische di pesce) sono nati i Mitsubishi Zero A6M, gli aerei dei kamikaze.

Per dirla tutta

La pittrice Nahoko Satomi è solo un love interest introdottaci in capo a un atto di cavalleria del nostro Horikoshi, ma proprio escludendo discorsi femministi (e quindi ideologici) che Miyazaki per non parlare di quello Yonebayashi delfino del Maestro con troppa Arte per restare compatto dentro il Ghibli esulando per fondare il Ponoc di Musashino hanno creato e definito una poetica della femminilità e del pacifismo-necessariamente armato, ma dalle posizioni coerenti e precise-nascente dalla diplomazia, la discussione delle proprie ideologie e posizioni, filosofie e una sola, grande filosofia necessaria come lo è stata per Ashitaka in quest’epoca di guerre sessuali tiepide, negazione della nostra natura umana sotto l’incalzare delle ideologie, ambientalismo apocalittico e terrorista.

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