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Lost and Forgotten Tales – URSULA

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Lost and Forgotten Tales – URSULA

Come fu possibile che un carcere del vecchio mondo in funzione con i prigionieri al suo interno e senza che il regime se ne accorgesse?

Questo fu il caso del complesso penitenziario chiamato Alba Nera, eretto in Alaska.

Lo Shadow Leader ha inviato Ursula, una potenziale agente che si potrebbe unire a Bel Sah’Ar il quale, in gran segreto, si è già diretto lì per osservare come si comporta la donna, incaricata di uccidere i prigionieri rimasti.

Che tipo di prigionieri erano lì ancora rinchiusi?

Per lo più serial killer ed ex membri dei cartelli della droga per un totale di dieci reclusi.

Era tardo pomeriggio quel giorno, il giorno quindici settembre del duemila quarantatré, c’era nuvoloso e si temeva la pioggia ma Ursula, a bordo della sua motocicletta, non aveva paura: era decisa a compiere la missione per compiacere lo Shadow Leader e Bel Sah’Ar.

Arrivò all’ingresso del penitenziario, un cancello in ferro arrugginito chiuso con un catenaccio.

Pose la mano sul lucchetto cercando di capire se potesse aprirlo e si sistemò i capelli lunghi sul lato destro, mentre su quello sinistro erano rasati.

Era arrugginito anch’esso.

Afferrò un fucile a pompa che teneva sul fianco destro della moto, prese la mira e lo distrusse; era armata anche con due piccoli fucili a canne mozze che teneva sulle cosce.

Poco dopo il colpo d’arma da fuoco sentì dei rumori e delle urla provenienti dall’interno della struttura a pianta rettangolare.

Scese dal mezzo, spalancò le porte e percorse il vialetto che portava all’ingresso per circa sei metri arrivando dinanzi ad una porta robusta in ferro che, inspiegabilmente, trovò aperta.

La spinse leggermente e quando vi entrò trovò un uomo, in stato di avanzata decomposizione, seduto su una sedia, mani dietro la schiena, piedi inchiodati al pavimento e una scritta, col sangue, sulla giacca bianca: Tornate Indietro!

La donna scosse le spalle e oltrepassò il cadavere trovandosi in avanti una serie di celle.

Fischiò per attirare eventuali presenti.

Un urlo e un uomo dalla pelle nera, alto un metro e novanta, capelli rasati, uscì dalla seconda cella alla sinistra di Ursula, armato di coltello.

Lei puntò il fucile.

Il prigioniero tirò fuori la lingua e aprì sul petto la divisa carceraria di colore arancione mostrando un tatuaggio del demone dei Kiss sul petto.

Fu lì che Ursula mirò: sparò un solo colpo al petto e lo uccise.

Alle spalle arrivarono due uomini dai capelli biondi, lunghi, dei gemelli, che le afferrarono le braccia facendole perdere il fucile.

La donna, però, aveva un asso nella manica: nello stivale destro, sulla punta, c’era una lama che tirò fuori ferendo l’aggressore di destra e permettendo che si allontanasse.

Prese il fucile a canne mozze che teneva sulla destra e sparò un colpo alla fronte del prigioniero ferito; l’altro lo colpì con un calcio sotto al mento, prese il fucile a pompa che aveva perso e gli fece saltare il cranio: sangue e frattaglie andarono sul muro.

-Fatevi avanti! – urlò la donna.

-Non farmi del male ti prego! –

Un uomo, con una voce rotta dalla paura e tremante, attirò l’attenzione della donna.

Camminò a passo lento, cercando di fare meno rumore possibile fino a quando, alla quarta cella sulla destra, vide un uomo sui settant’anni che aveva una gabbia con dei topi, barba lunga e grigia, calvo.

Lei puntò l’arma, lui alzò le mani.

-Ti prego non farmi del male! Non ho ancora mangiato oggi e per catturare tutti i topi che vedi qui ci ho messo una settimana! –

Ursula guardò l’uomo con schifo poi virò lo sguardo agli animale impauriti e al sangue nella cella: c’erano numerosi topi mangiati.

-Perché sei qui? – chiese la donna.

-Ho sterminato la mia famiglia perché non mi hanno permesso di essere il capofamiglia. Io sono l’uomo, io comando! –

Ursula scosse il capo e sparò due colpi di fila, uccidendolo; poi, con fare magnanimo, aprì la gabbia e permise ai topi di fuggire e ce n’erano almeno una cinquantina.

-Buona vita! –

Uscì dalla cella e si trovò di fronte una donna di due metri, capelli neri e raccolti, tatuaggio sulla guancia sinistra che prese Ursula per il collo e la sollevò sbattendola contro la parete.

-Avere ucciso mio uomo, tu morire! –

La prigioniera fece sempre più pressione e Ursula cominciò a perdere colorito della pelle e i suoi occhi cominciarono a chiudersi fino a quando non sentì che veniva tolta la presa.

La donna cadde battendo il sedere e quando riprese il senno realizzò che la gigante era stata colpita da un’altra donna, sul metro e settanta, con una mazza da baseball avvolta dal filo spinato.

Allungò la mano verso l’agente del Regime che, per paura, le puntò il fucile che teneva sulla sinistra.

-Quanto tempo, Ursula! Mai avrei pensato di rivedere la mia allieva! –

Quest’ultima, una volta rinsavita del tutto, la guardò bene.

-Morgana? Che ci fai in questo carcere? –

-Il Regime mi ha condotta qui per insubordinazione e tentato omicidio di un importante funzionario. Piuttosto: che ci fai tu qui? –

L’allieva, che rispettava la sua mentore e sembrava nutrire un certo timore referenziale, volle rispondere ma nel frattempo la gigante si stava alzando.

Con l’arma che teneva in pugno la puntò alla tempia e la uccise.

Restavano cinque prigionieri, inclusa Morgana.

La guardò dritta negli occhi.

-Sono qui per ordine del…-

Si fermò di colpo: non poteva rivelarlo e, anzi, la sua maestra era un obiettivo.

-Chi ti ha mandato? –

Scosse il capo.

-Ah! Immagino per chi tu sia qui, non c’è bisogno che tu lo dica. Mi hai profondamente delusa. Vuoi uccidermi? – chiese Morgana che, nel frattempo, allargò le braccia e si girò di schiena.

Ursula titubò.

Spari di kalashnikov permise a Ursula di dare le spalle a Morgana che, quasi, non si accorse che la sua schiena era appoggiata a quella dell’allieva.

-Che fai? Non mi uccidi? – chiese la maestra.

Da due celle avanti Ursula e due avanti Morgana uscirono quattro individui dalla pelle olivastra, capelli rasati a zero, petti nudi e con dei tatuaggi sul cuore particolari: aquile a testa in giù.

Tra loro parlavano spagnolo.

Ursula sparò un colpo di fucile verso l’alto e lo passò a Morgana prendendo i due a canne mozze.

-Aiutami ad ucciderli e ti risparmierò la vita! – disse l’allieva.

-Potevi uccidermi sparandomi alle spalle, ma non l’hai fatto. Lodevole, ma non mi fido lo stesso di te ma ancora peggio di questi. Sono i più violenti. Agiamo, uccidiamoli! –

Morgana gettò a terra il fucile, lo spinse via col piede destro e fece più piroette per avvicinarsi ai nemici che l’attendevano, senza muoversi.

Una volta in posizione raccolse il fucile, pronta a far fuoco ma la canna di un kalashnikov le arrivò a pochi centimetri dal collo; così s’abbassò piegando le ginocchia e sbattendo la schiena.

In quell’istante l’assalitore di destra, per errore, sparò al suo compare; lì, a terra, poté puntare l’arma e uccidere l’altro.

Si rimise in piedi e vide Ursula che teneva le armi puntate ai due nemici.

Morgana poté notare di come i due ex narcotrafficanti avevano le mani mutilate e tagli alla gola.

-Non ti ho sentito nemmeno colpirli, ferirli e soffrire. Come hai fatto? – chiese la maestra.

In una frazione di secondo Ursula aprì il fuoco contro entrambi i nemici, ferendoli a morte con due colpi al collo.

Morgana, con il fucile in mano, si avviò verso la sua allieva con sguardo soddisfatto.

-Fossi in te ci penserei seriamente se seguire gli ordini dello Shadow Leader. Il potere che mantiene è basato sulla violenza, il sangue. Niente onore! –

Ursula abbassò lo sguardo e pensò a determinate parole dette dallo Shadow Leader.

-Chi mi serve non ha pietà, nemmeno davanti a me che tradisco il Regime o mi trasformo in un mostro. Questa è la via! –

Cominciò a sudare. Riportò alla mente anche le parole di Bel Sah’Ar.

-Io ho messo alle spalle ogni cosa per servire il nostro signore, anche la famiglia. Tu farai lo stesso. O fai ciò o morirai! –

Alzò leggermente i due fucili e sparò due colpi in pieno petto alla maestra Morgana che non si aspettava questo tradimento.

-Avevi…promesso…-

Ursula assistette alla sua lenta morte e all’accasciarsi a terra, senza dire nulla, senza nemmeno buttare fuori aria.

Rimise le armi a posto, recuperò il fucile e ritornò sui suoi passi, lasciando la struttura.

Proprio mentre Ursula se ne andava, Bel Sah’Ar osservava la missione compiersi attraverso un monitor all’interno di una stanza quadrata.

Accese la radio.

-Lei è, ora, un’agente. Missione compiuta. –

Il braccio destro parlò a qualcuno dell’esito della missione senza ottenere risposta.

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